Il faro
C’era una volta un’isola. La sua costa era piena di scogli appuntiti, e per evitare che le navi ci finissero contro, dalla sua spiaggia un faro altissimo illuminava il mare.
Gli abitanti dell’isola non avevano mai visto il guardiano di questo faro, perché – dicevano a bassa voce – era un uomo dal pessimo carattere, che non amava la compagnia dei suoi simili. Però nel suo lavoro era un fenomeno. Negli ultimi anni, nessuna nave si era mai arenata sulla spiaggia, né era mai finita contro gli scogli, perché tutte le notti il guardiano pattugliava il mare con grande maestria. Per ringraziarlo del suo operato, gli isolani lasciavano ai piedi del faro mucchi di vestiti, cose da mangiare, e tabacco per la pipa. Perché, e questo lo sanno tutti, ogni guardiano del faro ha i baffi neri, veste di blu e, negli intervalli del suo lavoro, sbuffa come una piccola ciminiera dalla sua pipa di legno scuro.
Una notte, però, sull’isola si scatenò la più terribile tempesta che si fosse vista negli ultimi cinquant’anni. Il vento fischiava come la sirena di una locomotiva, e gli alberi che proteggevano la spiaggia si piegavano fino a quasi toccare terra. La pioggia, poi, picchiava con tanta forza da rendere la superficie della sabbia simile a un enorme colapasta.
Ma nonostante il tempo da lupi, tutti gli abitanti dell’isola si erano radunati sulla riva del mare. Perché avevano saputo che, proprio quella notte, la più grande nave da crociera del mondo sarebbe passata vicino alla loro costa.
Quella tempesta così potente aveva messo fuori uso i sistemi di navigazione della nave, che rischiava così di finire contro gli scogli e aprirsi come una scatoletta. A bordo viaggiavano centinaia di passeggeri, che sarebbero finiti tutti in mare, e avrebbero avuto bisogno di soccorsi immediati. Ecco perché, sotto l’acqua e nonostante il vento, l’isola intera aspettava il passaggio della nave.
Quando cominciarono a vederla avvicinarsi, si resero conto di quanto fosse grande. Era come se un intero quartiere di una città si stesse muovendo tutto insieme, diretto proprio contro le rocce che spuntavano dal mare taglienti come lame.
Col passare dei minuti, la nave oscurò l’orizzonte. Gli abitanti dell’isola non vedevano più il cielo, e le onde, e la luna dietro la pioggia, ma solo la gigantesca massa della nave con tutte le sue lucine accese. E ne sentivano il rumore, mentre il capitano cercava di manovrare per impedire lo schianto. A un certo punto, proprio quando tutti si erano convinti che niente potesse evitare la catastrofe, un’altra luce illuminò il cielo. Era il guardiano del faro, che dall’alto della sua postazione indicava alla nave le manovre necessarie per continuare il suo viaggio senza finire contro gli scogli. I suoi segnali luminosi si alternavano senza sosta, e piano piano il colosso cominciò a deviare la sua rotta. Fu una lotta interminabile, ma alla fine il capitano della nave riuscì a rimettere la prua nella direzione giusta, e ad allontanarsi dall’isola e dai suoi scogli micidiali.
Gli abitanti scoppiarono in un grande applauso, e si abbracciarono felici nonostante fossero bagnati fradici. Il guardiano del faro aveva evitato una catastrofe!
Il mattino successivo, il sindaco dell’isola decise che bisognava festeggiare quell’evento in maniera importante. Avrebbe organizzato una parata cui avrebbero partecipato tutti i concittadini, portando con sé doni meravigliosi e cibi succulenti; e la musica della banda avrebbe accompagnato la marcia verso il faro sulla spiaggia. Una volta arrivati a destinazione, avrebbero costretto il misterioso guardiano a scendere dalla sua postazione, e lo avrebbero celebrato come un eroe.
Così, in poche ore tutto fu preparato a dovere.
La parata, che ebbe inizio nella piazza principale, si snodò attraverso le stradine dell’isola, e con tutto il suo carico di pietanze e regali, arrivò proprio sotto l’uscio del faro. Allora, dopo che la banda ebbe suonato l’inno nazionale, il sindaco cominciò a bussare contro la porta.
Nessuno aprì.
Così il sindaco bussò ancora più forte, e si mise a urlare che il guardiano doveva scendere, perché era un eroe, e gli eroi andavano festeggiati come si deve.
Finalmente, cinque minuti dopo, la porta del faro si aprì, sotto gli occhi attentissimi di tutta la popolazione. E da essa uscirono due bambini.
Erano un maschio e una femmina, con i capelli biondi e le lentiggini. E anche messi uno sopra l’altro, non arrivavano al mento del sindaco.
“E voi chi siete?” chiese allora lui, incuriosito.
“Siamo i figli del guardiano del faro. Papà è un uomo molto timido, e quando ha sentito il rumore della banda, è andato a fare una passeggiata dall’altra parte dell’isola. Però ha detto che potete lasciare tutto qui sotto, lo prenderà dopo.”
Il sindaco rimase immobile, davanti ai due bambini. Poi, non sapendo cosa fare, ordinò alla banda di eseguire un’altra volta l’inno nazionale, e quando i suonatori ebbero finito, fece dietrofront e tornò in città insieme a tutti gli altri.
Allora, i due bambini si strizzarono l’occhio. Poi riaprirono la porta, salirono le scale, e ripresero il loro lavoro.
Che era, ovviamente, quello di guardiani del faro.
Alessandro Toso