Fuori concorso


Il faro dell’isola di Laja


14-pistoneC’era una volta… una donna che viveva vicino al mare.
Si chiamava Alice.
La sua casa era su di una piccola penisola; era un faro.
Di quelli che aiutano le navi a trovare il porto durante la notte o quando c’è tempesta.
Il faro, a strisce bianche e blu, si trovava alla periferia del Paese di Ari ed era conosciuto da tutte le navi che arrivavano da paesi lontani perché, quando approdavano al porto, i comandanti sapevano di poter contare su di un thè con i pasticcini o su una gustosa torta fatta in casa…
Alice, infatti, era molto ospitale perché lei adorava ascoltare i racconti di chi viveva in mare e conosceva terre lontane. S’incantava ad ogni parola, ad ogni racconto e stava ad ascoltare per ore e ore i suoi ospiti.
Ascoltava curiosa, mai e poi mai, però, si sarebbe allontanata dalla sua casa, dal faro. Era molto bello vivere in quella costruzione, alta, che si stagliava fiera nel cielo: dalle finestre del faro si poteva vedere il mare in tutte le sue forme e i suoi colori: quando era agitato e spumoso, quando era piatto senza che si muovesse onda, quando era picchiettato dalla pioggia, quando era rosso al tramonto o, all’alba, si confondeva con il cielo per essere tutt’uno con lui.
Vivere nel faro, però, significava anche avere un importante compito: ogni notte, senza soste, Alice doveva sempre controllare che la lampada del faro funzionasse bene.
Con mille passi saliva i mille scalini della scala a chiocciola ed arrivava proprio in cima, nella grande lanterna.
Solitamente, dopo aver controllato che la lampada non si fosse fulminata o che gli specchi, che ingrandivano quella luce per moltiplicarla nel mare, fossero tutti interi (con le bufere non si sa mai…) e puliti, si affacciava sul balconcino circolare che girava intorno alla lanterna e passava il tempo a guardare la notte: aveva imparato a distinguere ogni stella, le costellazioni che apparivano a seconda delle stagioni e i pianeti che luccicavano da lassù. Ed era anche diventata amica della Luna, con cui parlava spesso.
Alice amava tutto questo ma non nascondeva di sentirsi un po’ sola in quel faro: nel suo cuore avrebbe voluto stare più in compagnia.
Ma il paese era lontano e lei non aveva sempre voglia di prendere la macchina per andarci.
La penisola su cui era stato costruito il faro, con la marea, si trasformava spesso in una vera e propria isola, perché l’acqua passava sopra l’unico lembo di terreno che la teneva attaccata alla terra ferma. Quella strada era tortuosa e non era ben illuminata; qualche volta aveva persino dovuto chiedere aiuto perché o si era forata una gomma o era finita impantanata nella sabbia bagnata dalla pioggia.
Per fortuna il suo faro era sempre meta di visite: parenti, amici, qualche curioso…
Eppure c’era qualcosa che le mancava.
Una sera che il cielo era terso e la Luna si specchiava nel mare, facendo luccicare tutto ciò che vi era intorno con la sua luce così chiara… Alice si rivolse alla Luna per chiederle un regalo: – Luna, mia dolce amica di tutte le notti, devo confessarti una cosa. La mia vita è poetica quì vicino al mare ma… sento che mi manca qualcosa, qualcosa di più prezioso… non so cosa possa essere, per cui… ti chiedo di illuminarmi e darmi qualche suggerimento…-
Così fece d’estate Alice, per notti e notti, finché venne l’inverno.
Le navi continuavano ad arrivare e a partire.
Un giorno, tra i tanti ospiti del faro, Alice fece conoscenza con il comandante di una grossa nave proveniente dalla Nuova Zelanda. Un amante della natura e degli animali.
Era molto simpatico; ad Alice piacque subito.
La divertiva raccontandole storie buffe, la faceva sognare sussurandole storie romantiche, la incuriosiva con storie avventurose e, a volte, paurose.
La sua nave doveva fare rifornimento prima di ripartire per un lunghissimo viaggio che lo avrebbe portato al di là dell’Oceano, al Polo Nord, per cui aveva deciso di fermarsi qualche giorno nel Paese di Ari e, ogni mattina, andava a trovare Alice.
Anche lui l’aveva trovata una persona simpatica.
Tra Alice e il giovane comandante Alessandro nacque una bella amicizia così, una sera di Luna piena, lei decise di confessargli quel suo strano malessere: la solitudine. Poi gli chiese anche una cosa che non faceva mai, una cosa molto insolita… di ritornare da lei quanto prima.
Questa fu la promessa ma lui, il giorno dopo, non andò a trovarla: era partito improvvisamente senza avere neanche il tempo di salutarla.
Alice quella notte si sentì ancora più sola e ancora parlò alla sua amica Luna: – Luna, mia dolce amica di tutte le notti, devo confessarti una cosa. La mia vita è poetica qui vicino al mare ma… sento che mi manca qualcosa, qualcosa di più prezioso… non so cosa possa essere, per cui… ti chiedo di illuminarmi e darmi qualche suggerimento… –
Passarono i giorni che sembrarono più lunghi di sempre ma, un venerdì, Alice si svegliò e, quando si guardò allo specchio, scoprì di avere una pancia a forma di luna!
Che cosa le era successo? Che strana sensazione.
Alice si guardò nello specchio, poi si specchiò e si rispecchiò un sacco di volte. Quella curva le piaceva, sembrava che avesse mangiato la luna intera ma… si preoccupò anche un pochino e, così, decise di andare dal medico del paese per farsi visitare.
Il medico, quando la vide sorrise e… le fece subito gli auguri perché, le disse, che quella pancia dalla curva di luna significava che Alice avrebbe avuto un bambino!
Dopo una visita accurata le preannunciò, anzi, che sarebbe stata una bambina.
In Paese ma, soprattutto, in mare la notizia si sparse subito.
Le navi si inviarono messaggi e la notizia arrivò persino in Alaska.
Tutti sapevano che al faro del Paese di Ari sarebbe nata una bimba.
E, da quel giorno, accadde una cosa straordinaria: al loro passaggio nelle acqua di Ari le navi affidavano al mare una piccola barchetta o una boa o un salvagente con dentro un piccolo regalo.
La guardiana del faro ricevette tanti regali: le navi che venivano dalle Antille le donarono una stella marina colorata, quelle delle Galapagos delle conchiglie preziose, le imbarcazioni provenienti dalla Polinesia un cesto di perle rare, dalla Spagna arrivò un ventaglio di cavallucci marini, dalla Svezia un cavallo a dondolo intagliato nel legno, dalla Danimarca una casa di bambole, dalla Grecia un vestito coloratissimo di lana intrecciata a mano e, poi, ancora… alghe dai benefici incredibili, foto di mare, un cappello di comandante, una speciale bandierina di segnalazione colorata, una nave in bottiglia, una piccola àncora, una collana di coralli rosa…
Alice non sapeva più dove mettere tutti quei doni. Il faro si era riempito.
Tra i tanti messaggi che correvano veloci come il vento, intanto, Alice sperava che la bella notizia arrivasse anche al suo comandante preferito.
Ma così non fu.
Così passarono i mesi, nove per la precisione.
E, in un giorno freddissimo, quando il maestrale invernale taglia il viso e i vetri delle finestre si ricoprono di salsedine come se fosse ghiaccio, nacque la piccola Laja, bella come una perla, dagli occhi profondi come il mare e il sorriso dolce di una sirena.
Laja era una bambina dolce e sorridente. Alice cominciò a non sentirsi più sola; Laja le aveva colmato quel vuoto che provava.
Laja cresceva e, ogni giorno, stupiva sempre tutti per le cose che faceva: osservarla era una fortuna, era scoprire attimo per attimo, la magia della vita.
Ovviamente Laja era nata sotto il segno dell’Acquario e, attraverso la madre, imparò ad amare il mare e il suo mondo.
Imparava, in ogni momento, una cosa nuova: ricordava i nomi di tutti i pesci, sapeva imitare il verso dei gabbiani, riconosceva il suono delle navi che entravano nel porto, osservava i delfini lontani che saltavano dietro la scia delle imbarcazioni, sapeva indovinare il tempo di intervallo delle luci del faro anche ad occhi chiusi, ascoltava i suoni della risacca, dello sciabordio, ascoltava il mare e il rumore delle onde, anche quando era agitato….
Passarono gli anni. Sei per la precisione.
Laja era diventata grande e frequentava già la scuola del paese; ogni mattina la mamma l’accompagnava e l’andava a riprendere e non vedeva l’ora di farlo perché, la compagnia di Laja, era divertente e rassicurante allo stesso tempo.
Laja era felice di stare in compagnia di altri bambini ma, anche lei, amava tanto vivere nel faro.
Così fu che, un bel giorno, dopo che Alice aveva accompagnato Laja a scuola, sentì echeggiare da lontano il fischio di una nave in arrivo… un suono che lei conosceva molto bene.
Sì era quel fischio che non aveva mai dimenticato, proprio quello della nave del comandante Alessandro.
Alice stranamente non sapeva se gioire o disperarsi; in cuor suo non sapeva se essere contenta o meno…
Si incamminò verso la spiaggia e vide arrivare la nave dal mare nel porto di Ari.
Imponente, grandiosa, netta al contrasto con gli azzurri intensi del cielo e del mare; gli oblò tirati a lucido tanto da brillare ai raggi del sole, le cabine così bianche tanto da riflettere i cerchi d’acqua.
Sul ponte, a testa alta, un uomo in giacca blu.
Alice non potè fare a meno di andargli incontro.
Sceso dalla nave, lui la abbracciò in silenzio, poi, la guardò a lungo negli occhi e le promise di andarla a trovare per cena. Si sarebbero raccontati un sacco di cose, si dissero tra l’emozione.
Alice tornò a casa con Laja e le raccontò dell’uomo; la vestì con un vestito bianco e le raccolse i capelli ricci con un nastro colorato. Anche lei si vestì con cura e preparò una cenetta a base di pesce… da far leccare i baffi a chiunque. Non mancò di preparare anche un dolce, una torta speciale fatta di panna e fragole.
Poi mamma e figlia salirono sui mille scalini del faro e si affacciarono al balconcino circolare.
La brezza marina entrava tra i capelli e soffiava leggera come se fosse musica.
Non era ancora calata la sera che lo videro arrivare.
Il sole stava cadendo nel mare in un tramonto dai colori sfumati; il mare era uno specchio d’acqua e la Luna aveva già fatto capolino. La luce del faro cominciava il suo movimento. Era tutto meraviglioso.
Il Capitano Alessandro era un uomo scuro di carnagione, la pelle bruciata dal sole; i suoi lineamenti erano netti, naso piccolo e greco e un gran sorriso rassicurante.
Cenarono insieme e le due donne furono rapite dalla magia dei racconti del Capitano.
Passò così tutta la sera, tra risa e meraviglia, canti e sorrisi.
Non sembrava fossero passati tutti quegli anni dall’ultima volta che si erano visti.
Alice raccontò di essere diventata una donna davvero felice da quando era arrivata Laja e gli parlò a lungo di lei.
Laja ascoltò curiosa ma, dopo poco, salutò tutti e andò a dormire: l’indomani avrebbe dovuto alzarsi presto per andare a scuola.
Fu silenzio; poi, il capitano Alessandro si alzò e, guardando negli occhi Alice, le chiese di chi era figlia Laja.
Alice non rispose e lui capì.
Allora decise in fretta e furia di tornare in paese e… le promise di tornare il giorno seguente.
Alice non dormì quella notte temendo di scoprire che, il giorno dopo, il giovane capitano Alessandro non sarebbe tornato.
Invece… questa volta la sorprese, tornò davvero e rimase per sempre.
Vicino al Paese di Ari, c’era un faro e nel faro viveva una famiglia con due genitori e una bimba.
Questa storia è accaduta 200 anni fa.
Oggi il faro funziona ancora e si può visitare.
Se volete andare a vederlo basta che troviate, su di una cartina geografica, l’Isola di Laja.
Non tutti riescono a vederla ma chi ci è riuscito assicura che andarci è stata un’esperienza unica.
Paola Pistone

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