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Cuore di faro


05-dedenaroDifficile dire chi e quando avesse costruito quel vecchio faro sugli ultimi scogli che chiudevano, quasi come un abbraccio il golfo. Era lì, forse da sempre. un vecchio faro bianco in cima ad un molo accarezzato e sferzato dal vento e dalle onde, un caro, vecchio faro…
Aveva i suoi problemi: di giorno immobile se ne stava solo lì, tutto sommato inutile; di notte doveva girare continuamente lo sguardo attorno, senza nemmeno potersi soffermare su ciò che gli piaceva di più. Insomma, non una bella vita!
Come tutti noi anche lui aveva i suoi segreti. Nel suo cuore custodiva il segreto più importante: era innamorato di una barca da pesca che ogni notte vedeva passare sotto il suo sguardo intermittente e, ancor prima delle prime luci del giorno, osservava tornare dal mare aperto col suo carico di pesce. Non che fosse una bellissima barca, ma a lui piaceva, perché ad ognuno piace qualcosa e gli altri non possono capire la ragione profonda di certe scelte, o il perché forse nemmeno esiste, tanto meno per i fari. Veramente, a pensarci bene, invece, una ragione poteva esserci, anche se non l’unica, vedeva in quella barca la possibilità di spostarsi, di viaggiare, di vedere il mondo, mentre lui era sempre lì, di giorno praticamente addormentato e di notte a girare la testa tutt’attorno come un matto.
Sognava di volare via, da quelle rocce sempre uguali, prendere fra le braccia la sua amata barca e danzare il valzer insieme a lei sulle onde.
Questo vecchio faro non aspettava altro che l’età della pensione per farla finita e mettersi a dormire, per sempre, e spesso si scopriva a ridere dei suoi sogni.
Il suo guardiano era vecchio anche lui: veniva alla sera, saliva le scale e metteva in funzione quell’occhio luminoso che scrutava nel buio, poi si buttava a dormire su una branda, svegliandosi all’alba per spegnere il fascio di luce e allora non rimaneva alla torre decrepita che un altro giorno di solitudine.
Ma poi successe, tutto in una notte. Il vento soffiava sempre più forte, l’acqua volava alta sui moli, il cielo era più scuro della notte stessa e il gelo penetrava gli uomini e le cose. Le barche sorprese al largo dall’improvviso fortunale quasi non riuscivano a reggersi fra le onde spumose.
Il guardiano del faro guardava seduto tutto quello che stava accadendo, aveva acceso un’ultima sigaretta, e dopo qualche minuto l’aveva schiacciata dentro al portacenere e s’era addormentato rigirandosi appena nella sua branda, come gli avvenimenti di quella notte non lo riguardassero affatto. Proprio allora la tempesta si faceva più forte e l’occhio del faro girava illuminando ora le onde, ora le case, sferzate in quel modo. La torre sembrava quasi piegarsi sotto quei colpi, solo il lento girare del suo occhio pareva resistere più forte di tutto quello che stava accadendo.
Le barche dei pescatori in mezzo alle onde faticavano a tornare verso i moli, le mogli e i bambini da dietro ai vetri guardavano la massa scura, bianca di schiuma, infuriata, schiacciando il naso sui vetri umidi.
La luce del faro cercava, cercava in mezzo alle onde, tra le barche rollanti, una in particolare ma, appena intravvista già doveva girarsi e guardare lontano. I capitani già stavano maledendo il mare e quella notte, quando si accorsero che le onde s’ingrossavano ancora all’orizzonte e i moli sparivano dietro di loro. Restava solo la luce, intermittente, a mostrare loro la direzione da tenere. Più d’uno, ormai, su quelle barche, dubitava di potercela fare. Poi, come d’improvviso, la luce sembrò bloccarsi in una sola direzione, toccare una barca e allora via, tutte dietro di quella, trovare istintivamente la via per raggiungere i moli.
Il guardiano si svegliò mentre stava albeggiando, guardò fuori il vento, le onde ed i marinai, riguardò, infine, il mare e ringraziò chi gli aveva permesso, anni prima di scendere a terra e restarci. Spense il faro che non serviva più e scese gli stretti gradini: il vento lo colse mentre apriva la porta e lo accompagnò fino alla prossima, quella di casa.
Chissà quando è successo tutto questo, tanto tanto tempo fa, o forse no. Ora il faro sta lì, immobile, il suo occhio spento per sempre: è diventato un’abitazione di lusso per gente originale e si sente lo scalpiccio di piccoli piedi  che di corsa salgono e scendono le sue scale. Sotto, sugli scogli, c’è ancora ormeggiata una vecchia barca di legno che qualcuno ha portato a riva e rimesso a nuovo per far assaggiare il mare a turisti e studenti. E lì, dietro ai moli, che passa  le sue notti, sotto l’ombra del vecchio faro, è rimasto il colore della vecchia vernice  e si può leggere chiaramente il suo nome, si chiama Felicità.
Roberto Dedenaro

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